Le Storie

Lo Scienziato

Paolo Griffa ha tenuto il Grand Hotel Royal e Golf sulla corda per un bel po’ di tempo prima di entrare a far parte dello staff con il suo straordinario talento nel 2017. Già allora c’era fervido interesse intorno alla sua persona.

Volendo avere a tutti costi tra le proprie file questo giovane italiano, noto per le sue idee bizzarre e le sue creazioni culinarie sublimi, l’Hotel lo corteggiò a regola d’arte. I primi tre tentativi di avvicinamento erano falliti. Quando glielo chiesero per la quarta volta, per caso Paolo si trovava nei paraggi e decise pertanto di dare un’occhiata alla struttura. La cucina non gli piaceva -”troppo vecchia, troppe pareti divisorie inutili”, diceva, mentre rimase impressionato dal proprietario Sergio Barathier. Esattamente come lo colpì l’imponente Monte Bianco, la montagna locale la cui vetta è sempre innevata. Che Barathier avesse intenzioni serie, glielo dimostrò subito in occasione del primo incontro. Sentite le critiche di Paolo, fece immediatamente abbattere i muri in questione. “Allora, che te ne pare adesso?”, chiese al 26enne in mezzo alle macerie. Tanto zelo impressionò il giovane chef de cuisine che decise di dare una possibilità a questa proposta, a condizione di essere lui a formare la squadra.

Tre persone nella cucina nuova e tre camerieri per gli ospiti - l’era Griffa nel Petit Royal, il ristorante gourmet dell’Hotel, era iniziata. Nel 2018, grazie al talento del giovane chef, sul menù brillava una stella Michelin. In Italia, prima di lui, solo pochi chef con meno di 30 anni ci sono riusciti. Paolo è noto per la sua ambizione,  ama la competizione e si fa guidare dal suo desiderio di perfezione. Oggi il suo team è composto da 14 persone. I suoi piatti sono dei piccoli capolavori di un altro mondo, preparati con estrema precisione, formati, tagliati e presentati alla perfezione. “Sarei diventato designer, se la mia carriera di cuoco non fosse decollata”, dice Paolo. “Il mio lavoro non mi piace solo perché coinvolge il gusto, ma anche per l’estetica”. Un pensiero che gli si impresse nel cuore quando, appena diciottenne, diventò chef-patissier. “Un millimetro a destra o a sinistra fa grande differenza”. Altre esperienze formative le ha fatte in rinomate strutture stellate in Francia, Danimarca e Asia.

“Dormirò, quando sarò morto”

I suoi occhi sorridono quando parla di colori, consistenze, odori e sapori di patate, barbabietole e cioccolato e dei innumerevoli modi di preparali. Unisce l’acribia di uno scienziato all’arte di un poeta. Pinzette, pipette, siringhe ed altri utensili da laboratorio fanno parte del suo corredo da cucina. La sua biblioteca personale comprende 2.500 volumi specialistici che non contengono solo ricette. Paolo tira fuori il suo smartphone dalla tasca dei pantaloni e mi fa vedere l’immagine di uno strumento medico. Si tratta di un contenitore quadrato che ha le dimensioni di una piccola pentola, in quattro insenature si trovano infilate delle provette. “Questa, per esempio, è una centrifuga, con la quale si può separare il sangue”, racconta. “Verrà spedita la settimana prossima”. Che cosa ci fanno? “Se si riempiono le provette con della salsa all’avocado, è possibile separare i componenti solidi da quelli liquidi. Ci piace sperimentare”, dice Paolo. E i suoi occhi brillano di nuovo. Per essere uno scienziato pazzo è troppo organizzato e ben pettinato, ma traspare comunque una moderata ossessione. “Dormirò, quando sarò morto”, disse una volta il controverso regista austriaco Rainer Werner Fassbinder. Una cosa che sembra riuscire anche a Paolo. Afferma di dormire dalle quattro alle cinque ore per notte. Per lui una giornata di vacanza è andare in montagna con il suo team, per raccogliere erbe selvatiche nei prati verdi.

Il volto estivo e il volto invernale

Erbe selvatiche della regione - timo, verbena, menta o lavanda - sono tutti ingredienti importanti nella cucina di Paolo. In generale Paolo utilizza quasi esclusivamente ingredienti regionali, una prassi ormai consolidata nella gastronomia di alto livello. Tuttavia, nelle regioni in cui d’inverno cresce poco, la regionalità può costituire una sfida. Paolo fa parte di quella generazione di cuochi per cui la sostenibilità non è una parola vuota, bensì una cosa ovvia e, per quanto lo riguardo, irrinunciabile.  “Per questo motivo fermentiamo molti prodotti, surgeliamo puree e salse per l’inverno”. La cucina di Paolo ha dunque due volti: il volto estivo - fatto di piatti leggeri, ricchi di verdure, e quello invernale con pietanze più sostanziose e corroboranti. Ma qual è il vantaggio di una cucina così rigorosamente regionale? “Ciò che viene servito ai clienti esiste esclusivamente qui in Val d’Aosta. É unico”.

Paolo non è cresciuto in Val d’Aosta, bensì in Piemonte, dove - come del resto in qualsiasi altra parte d’Italia - tutto ruota intorno al cibo. Quando Paolo era un bambino, ha imparato da sua nonna Rosa e da sua mamma Daniela, che sapore dovesse avere una lasagna perfetta e che cosa ci volesse per preparare gli gnocchi. Iniziò presto a cucinare per la sua famiglia - decisamente numerosa: cinque figli, tanti zii, zie, cugini e cugine, nonni. “Per me il cibo è un momento di felicità. Significa divertimento, famiglia, serenità e stare insieme”. Un’esperienza che desidera trasmettere anche ai suoi ospiti. Gli ospiti devono ricordarsi di aver mangiato nel Petit Royal. Per questo motivo Paolo ama sorprendere. L’ospite sceglie tra sei varianti di menù ciascuno dei quali si basa su un determinato ingrediente. “I piatti che poi vengono portati in tavola sono tutte interpretazioni dell’ingrediente scelto. Quali siano questi piatti, il cliente lo scopre solo nel momento in cui gli vengono serviti”. Nel complesso, il team crea 45 piatti a stagione che si sposano tutti bene fra di loro. In questo modo sono in grado di reagire tempestivamente a preferenze e avversioni dei clienti e, al bisogno, di porre rimedio anche all’ultimo minuto. Per Paolo, come per tanti altri chef prodigiosi, la soddisfazione dei suoi clienti è lo stimolo più grande: l’esperienza fatta attraverso il cibo può e deve rimanere impressa anche a livello emotivo.  E deve divertire.

L’arte del servizio

Nonostante le fatiche inevitabilmente correlate ad una carriera brillante nel settore della gastronomia di alto livello, sembra soddisfatto anche lui. Ma Paolo è giovane, affamato e l’Italia lo ama. Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive in Italia e può essere definito il fiore all’occhiello di Courmayeur. É eloquente e di bell’aspetto. Ma qui, nel ristorante, è un attore che recita in secondo piano. Dietro le quinte, nella coreografia della preparazione, ha il suo posto fisso e non lo abbandona mai. A fare da intermediario tra la cucina e l’ospite è il cameriere. Un buon cameriere è molto più di una persona che serve dei piatti e poi li sparecchia. “Il cameriere deve avere fiuto e comprendere il motivo della presenza degli ospiti. Chi viene per un pranzo di lavoro ha esigenze diverse rispetto ad una coppia che desidera passare una bella serata o a clienti che conoscono la cucina”. Un buon cameriere sa a che altitudine sono cresciute le patate servite nel piatto e da dove provengono le erbe selvatiche che le completano così magnificamente. Ma sa anche quando è il momento di parlarne e quando è meglio tacere. Paolo è consapevole di tutto ciò e sceglie le sue cameriere e i suoi camerieri con molta accuratezza, così come i produttori regionali con cui desidera collaborare. Non c’è dubbio che questo spirito di squadra gli giovi e sembra davvero essere in sintonia con i suoi collaboratori. Che fortuna che i muri inutili in cucina sono stati abbattuti!

Testo: Martha Miklin
Photos: Sophie Kirchner
 // friendship.is

06 Maggio 2020

Leggi tutte le storie